Verso un turismo sostenibile per la salvaguardia del mare

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Publié le 17/08/2017

Prima destinazione turistica mondiale, il Mediterraneo attira ogni anno milioni di turisti, cosa non senza conseguenze per l’ambiente. Perché aumento della popolazione fa rima anche con aumento dei rifiuti prodotti e delle acque reflue scaricate, di cui si ritrova irrimediabilmente una parte nel mare.

Mare blu azzurro, spiagge di sabbia fine o di sassi, luogo di transumanza estivo per eccellenza, il Mediterraneo è un luogo pieno di cliché. In Francia bison futé (sito web del governo francese per la sicurezza e la circolazione stradale, ndr) affina le sue previsioni. Prima ondata di partenze prevista sabato 8 luglio. Il capo indiano Bison Futé (personaggio pubblicitario che controlla il traffico, dalle sembianze di Toro Seduto) prevede bollino rosso. Dalle frontiere del nord verso il Mediterraneo Bison Futé vi consiglia di evitare la valle del Rodano… Si potrebbe continuare così a lungo. Lo stesso schema si ripresenta sulle strade e negli aeroporti di Spagna, Italia, Turchia e Grecia (giusto per citare la top 5 delle frequentazioni turistiche). Il Mediterraneo in effetti può vantare il primato tra le destinazioni turistiche mondiali.

Cifre da far girare la testa: quest’area rappresenta più di un terzo degli introiti turistici mondiali e la metà degli arrivi internazionali. Il settore è fonte dell’11% degll’occupazione nell’area. Dai 200 milioni di turisti negli anni 2000, la popolazione turistica dovrebbe raggiungere i 637 milioni nel 2025.

Non c’è nient’altro da aggiungere: il Mediterraneo attrae, e continuerà ad attrarre turisti; cosa non senza conseguenze sull’ambiente. Perché aumento della popolazione fa rima anche con aumento dei rifiuti prodotti e delle acque reflue scaricate, di cui si ritrova irrimediabilmente una parte nel mare. Plan Bleu, l’organismo collegato al Piano d’azione per il Mediterraneo dell’Onu, mette nero su bianco il suo parere in un rapporto datato settembre 2016: «Il turismo costiero è una fonte di gravi impatti ambientali: per esempio, l’inquinamento marino e delle acque dolci dovuti allo scarico delle acque reflue e alle discariche selvagge contenenti delle quantità consistenti di rifiuti solidi».

Rifiuti, batteri, prodotti chimici : delle fonti di inquinamenti diversi

Sarah Hatimi, responsabile di progetto qualità dell’acqua e salute dell’associazione Surfrider, distingue tre tipi di inquinamento marino. I rifiuti marini, sui quali abbiamo molte informazioni e di cui conosciamo gli effetti sull’ambiente, in particolare sugli uccelli e le tartarughe. L’inquinamento batteriologico, che ha un impatto diretto, con reazioni cutanee, congiuntiviti, gastroenteriti. «Certe infezioni sono benigne, altre più preoccupanti», aggiunge. Infine, bisogna prendere in conto l’inquinamento chimico, ad esempio le sostanze contenute nelle creme solari. «L’effetto di queste sostanze è diretto, eradica certe specie e nuoce alla biodiversità. Apre lo spazio allo sviluppo di alghe a volte tossiche», continua Hatimi. Secondo lei, gli effetti a lungo termine sull’uomo dell’inquinamento chimico possono essere gravi, ma non esistono studi epidemiologici: «È difficile isolare una sostanza. Per una visione globale bisogna prendere in considerazione l’insieme delle sostanze presenti».

Per far fronte a questo inquinamento e rimediarvi, l’associazione si lancia dai suoi esordi in campagne di sensibilizzazione. Storicamente, una delle azioni condotte dall’organizzazione consiste nelle «Ocean Initiatives », programma di sensibilizzazione ai rifiuti marini basato sulle raccolte di rifiuti. Iniziative che non hanno vocazione a essere risolutive ed eliminare il problema dell’inquinamento delle spiagge, ma piuttosto ad avviare un dibattito che segua la raccolta nei comuni, per realizzare azioni concrete.

In base alle cifre della campagna 2016, la prima fonte di rifiuti raccolti nel Mediterraneo sono i mozziconi di sigaretta lasciati sulle spiagge o gettati dalle barche. Di fronte a questo le risposte previste dai comuni sono molteplici. A qualche miglio da Marsiglia, in Francia, La Ciotat impedisce di fumare sulle spiagge, cosa che limita automaticamente l’inquinamento dei mozziconi. Non è questo il caso per Marsiglia, la città focese. «La presa di coscienza non è ancora globale e uniforme in Francia, e più in generale nell’intera area del Mediterraneo», sintetizza Hatimi. Una delle soluzioni passa per la riduzione dei rifiuti alla fonte: « la cosa più efficace per limitare questo inquinamento resta di non crearne», conclude. L’associazione ha lanciato in questo senso le campagne « Ban the Bag » e « Reset your habits » verso delle pratiche buste e bottiglie di plastica zero. A Cassis, ad esempio, il Comune ha pagato i sacchetti «plastica zero» a tutti i commercianti per incoraggiarli a compiere il primo passo.

La sfida del risanamento
Per quanto concerne l’aspetto batteriologico, la soluzione passa principalmente per la questione del risanamento. Gli impianti di depurazione nelle zone turistiche spesso non sono adatti all’aumento esponenziale della popolazione nel periodo estivo. Certe città mediterranee molto semplicemente non sono equipaggiate. L’investimento necessario è elevato, e senza aiuti statali è spesso impossibile per i comuni far fronte al raddoppiamento o persino alla triplicazione della popolazione in certe città a bordo del mare. Secondo l’Ong spagnola Atta, 800 agglomerazioni costiere della penisola iberica, tra cui Algésiras in Andalusia, hanno una politica di trattamento delle acque reflue insufficiente. Altro impatto da non sottovalutare, le ville senza raccordi agli impianti collettivi, che spesso non sono controllate e dispongono di una cattiva manutenzione.

La Convenzione di Barcellona obbliga le città da 10mila a 100mila abitanti a realizzare degli impianti di depurazione. Un obbligo vincolante per gli Stati signatari che devono far applicare queste misure sotto pena di multe. Anche se spesso gli Stati preferiscono pagare piuttosto che mettersi in regola, riconosce un membro dell’organismo.

Altra difficoltà, questi impianti sono spesso costruiti sulla base di cifre della popolazione stabile, e non in rapporto al picco turistico. Stazione balneare francese creata nel 1963, La Grande-Motte accoglie 8600 abitanti d’inverno e può raggiungere i 120mila vacanzieri in alta stagione. Il nuovo impianto di depurazione inaugurato nel 2013 permette di prendere in conto le variazioni di popolazione tra l’inverno e l’estate. Questo sistema si basa sul procedimento di filtrazione a membrana, tecnica di depurazione che secondo il Cnrs (Centro nazionale di ricerca scientifica, il Cnr francese ndr) costituisce una piccola rivoluzione nel campo del trattamento delle acque. Il principio su cui si fonda consiste non più a eliminare chimicamente i micro-inquinanti, ma ad estrarli fisicamente. Presenta in effetti il grande vantaggio di non utilizzare alcun reattivo chimico, a parte per la manutenzione, ma il suo costo è ancora elevato.

Dare l’esempio localmente

Senza impianti di depurazione a norma il rischio di inquinamento batteriologico aumenta. In Libano la questione è ricorrente. Essendo il sistema di trattamento delle acque reflue quasi inesistente, l’85% di queste sono attualmente scaricate in mare e nei corsi d’acqua senza il preliminare trattamento. Un’indagine condotta nel 2013 dimostra che su 18 zone di balneazione testate lungo il litorale, circa la metà non è frequentabile a causa dell’alto tasso di colibacilli di origine fecale individuati (E. coli). Sulla spiaggia di Beyrouth il tasso di colibacilli supera le 1000 unità ogni 100 ml, quando secondo norme stabilite di frequente, al di sopra della soglia delle 100 unità la balneazione è considerata pericolosa. Per uscire dal campo teorico e dare l’esempio nel suo Paese e intorno al Mediterraneo la libanese Rima Tarabay ha lanciato qualche anno fa la rete delle Ecotown.

L’avventura comincia a Naqura, ultimo villaggio prima della frontiera israeliana a sud del Libano. Una situazione tesa a livello di sicurezza e l’occupazione israeliana fino all’anno 2000, che hanno paradossalmente preservato dall’ondata di cementificazione del litorale libanese. È in questo villaggio, che vive principalmente di pesca, che Rima Tarabay, attivista politica titolare di una tesi in geografia e sviluppo sostenibile, vuole mettere in pratica i principi dell’ecoturismo limitando le emissioni in mare (rifiuti, acque reflue, prodotti fitosanitari usati nell’agricoltura) e proponendo alla vendita prodotti locali sani.

La rete Ecotown riunisce oggi sette città e villaggi del Mediterraneo tra cui Cassis in Francia, Amsa in Marocco, Pirano in Slovenia. L’obiettivo è di scegliere un centro turistico di meno di 10mila abitanti in ogni Paese per mettere a punto dei metodi per diminuire l’inquinamento del mare. «Una misura ridotta che ci permette di poter agire localmente in modo più semplice», spiega Rima Tarabay. La carta del programma di Ecotown mostra come sia possibile preservare l’economia mettendo in valore l’ecoturismo. Un lavoro rigoroso tutto in lentezza perché le sovvenzioni sono limitate ma anche perché cambiare le mentalità prende del tempo. « È necessario che gli abitanti si approprino del progetto e continuino dopo il passaggio dell’associazione», aggiunge Tarabay. Secondo lei il progetto ha senso nell’attuale contesto: « I turisti sono sempre più consapevoli delle sfide ambientali. Gli occidentali che si trasferiscono dal fronte orientale hanno delle nuove aspettative sulla questione e sono sensibili alle iniziative che vanno in questa direzione».

Naqoura, dernier village libanais avant la frontière avec Israël. Premier site du programme Ecotown
Naqura, ultimo villaggio libanese prima della frontiera con Israele. Primo sito del programma Ecotown

Ogni progetto presenta delle sfide specifiche. Ad Amsa, in Marocco, la pianura degrada fino al mare. Alcune case sono state costruite in zona soggetta a inondazioni. È stato necessario convincere il comune a fermare questo tipo di costruzioni. Un luogo abbandonato è stato riqualificato in orto ecologico e affidato a una trentina di donne del villaggio per insegnare loro delle pratiche di coltivazione sostenibile. Il villaggio, attorniato da sentieri, potrebbe diventare un luogo di villeggiatura privilegiato non solo nel periodo estivo, ma anche in primavera. Stessa strategia a Pirano, in Slovenia: lo sviluppo del turismo nel corso dell’anno. Per poter consolidare l’economia del paesino, l’associazione punta sull’ecoturismo e mette in valore la cultura del sale.

L’impegno della società civile

Dappertutto, attorno al Mediterraneo, dei semi di turismo sostenibile e responsabile vedono progressivamente il giorno. L’Organizzazione mondiale del turismo ha poi fatto del 2017 l’anno del turismo sostenibile. In Tunisia il turismo rappresenta storicamente un settore essenziale dell’economia tunisina e fa vivere circa il 15% della popolazione. Essenzialmente concentrato sulle coste, ha conosciuto uno sviluppo importante negli anni Ottanta, con la costruzione di grandi complessi alberghieri sul litorale e lo sviluppo del turismo di massa, low-cost, senza preoccuparsi delle conseguenze sull’ambiente.

L’instabilità politica che ha seguito la rivoluzione del 2011, come anche gli attentati che hanno colpito la Tunisia nel 2015, hanno fatto crollare drasticamente la frequentazione turistica nel Paese. La priorità delle autorità tunisine oggi è di fare quindi ripartire questo settore. Parallelamente è emersa, in questi ultimi anni, una presa di coscienza delle sfide ambientali. Ed è soprattutto dalla società civile che vengono le soluzioni di innovazione contro l’inquinamento del litorale causato dal turismo. Per Chokri Mansour, una guida turistica di 33 anni, turismo ed ecologia non sono incompatibili. Così ha lanciato il progetto ECOMEL a Tabarka (Nord-Ovest), e creato in questo luogo, apprezzato dai sub, un sentiero sottomarino che unisce scoperta della biodiversità marina e messaggi di sensibilizzazione alla protezione dell’ambiente inscritti su pannelli immersi nell’acqua. «Ci sono diverse belle iniziative dello stesso tipo, – spiega -. Ma c’è un problema di strutturazione e di organizzazione di queste iniziative. Purtroppo sono un po’ marginalizzate». (Qui il reportage completo di Perrine Massy e Timothée Vinchon in Tunisia)

La Convenzione sulla protezione dell’ambiente marino e costiero del Mediterraneo, detta di Barcellona, riunisce 22 Stati Parte intorno al Mediterraneo. È stata firmata nel 1976 ed emendata nel 1995. Nel suo protocollo per la protezione del mar Mediterraneo dall’inquinamento derivante da sorgenti e attività sulla terraferma è fatta menzione: “Nel corso dell’elaborazione di questi piani d’azione, programmi e misure, le Parti, in conformità con il programma d’azione mondiale per la protezione dell’ambiente marino contro l’inquinamento dovuto alle attività sulla terraferma adottato a Washington nel 1995, accordano la priorità alle sostanze tossiche, persistenti e suscettibili di bio-accumulazione e in particolare agli inquinanti organci persistenti, così come al trattamento e alla gestione delle acque reflue”.

Ritrovate il testo integrale della Convenzione : https://planbleu.org/sites/default/files/upload/files/Barcelona_convention_and_protocols_2005_eng.pdf