Idrocarburi: ogni settimana sversato in mare l’equivalente di un’Erika

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Publié le 17/08/2017

Più di 200mila barche mercantili si incrociano ogni giorno nel Mediterraneo. Svuotamento dei serbatoi del carburante e delle acque di zavorra e incidenti inquinano il mare. Nonostante la regolamentazione, le associazioni sembrano impotenti.

Un’onda nera si estendeva nel piccolo golfo, a una cinquantina di metri dalla costa. In lontananza, due punti rossi fluttuavano in acqua. Nel 2013, il litorale della città algerina di Skikda veniva contaminato da una fuga di petrolio. A 470 chilometri a est di Algeri, Skikda è uno dei bastioni dell’industria petrolifera del Paese. Nella baia le sea-lines, grosse braccia galleggianti rosse, permettono di caricare le petroliere troppo grosse per avvicinarsi al porto e alla piattaforma pertrolchimica della città. Ma quell’anno le sea-lines, inutilizzate da diversi mesi, secondo le associazioni della città si sono fissurate per le intemperie. Restava del petrolio all’interno che si è riversato nel mare. A Stora, il porto di pesca attiguo, i pescatori non hanno potuto fare niente.

A Skikda, sversamenti e deragliamento di treni
Gli incidenti sono regolari, in mare come sulla terra. Tra il 2012 e il 2013 nella regione hanno avuto luogo otto incidenti di treno o di camion, che hanno portato allo sversamento del carico d’idrocarburi nella natura. Nel luglio 2013, 580mila litri di gasolio si sono sversati durante il deragliamento di dieci vagoni-cisterne a 35 chilometri da Skikda. I servizi della Sonatrach, compagnia perolifera nazionale, hanno affermato di aver preso a carico l’inquinamento e le autorità hanno dichiarato che non c’era stato «alcun impatto sull’ambiente». Ma gli scienziati affermano invece che anche se l’area dell’incidente è stata ripulita, in generale resta il 10% della quantità totale sversata a impregnare la natura.

I residenti si sentono impotenti. «Che si puó fare ? Niente. Assolutamente niente. Siamo condannati a fare il bagno in un mare inquinato, a mangiare pesce tossico e a respirare aria insalubre», sospira un abitante del luogo. Le associazioni lanciano l’allerta perché constatano un aumento dell’incidenza di cancro.

Dal 1977, il 6% degli incidenti che coinvolgono petroliere nel Mediterraneo hanno avuto luogo in Algeria. La Grecia, nello stesso periodo, registra il 30% degli incidenti. L’incidente più grave che abbia mai conosciuto il Mediterraneo resta la catastrofe dell’Haven, in Italia: nel 1991, nelle acque di Genova furono sversate 144mila tonnellate d’idrocarburi.

Svuotamento dei serbatoi del carburante e delle acque di zavorra, “inquinamenti operazionali”
Ma questi incidenti, certo spettacolari e spesso fattore di adozione di nuove regolamentazioni più severe, non rappresentano che un terzo dell’inquinamento da idrocarburi legato alle navi. Ogni anno più di 400mila tonnellate di petrolio sono deliberatamente sversate nel mare dallo svuotamento dei serbatoi del carburante e delle acque di zavorra. Lo scarico delle acque di zavorra, essenzialmente prodotto dalle petroliere, consiste nello sversamento in mare di un misto d’acqua di mare e di petrolio, proveniente dai serbatoi. Gli equipaggi procedono a quest’operazione per pulire i serbatoi prima di un nuovo caricamento. Il degasaggio, che riguarda invece tutte le navi, consiste nello scarico di oli e carburante dei motori nel mare.

Il mar Mediterraneo è particolarmente sensibile a questo inquinamento detto “operazionale”, perché in esso si concentra il 25% del traffico marittimo mondiale di idrocarburi. La metà del traffico parte dal Medio Oriente verso l’Italia, e circa un terzo dall’Africa del Nord (Algeria e Libia) verso la Francia. Secondo i dati del 2008 di Plan Bleu, 370 milioni di tonnellate d’idrocarburi transitano ogni anno nel Mediterraneo, e ogni giorno navigano nell’area tra 250 e 300 petroliere. Si tratta quindi globalmente di 2000 navi di oltre 100 tonnellate presenti in mare o nei porti, e 220mila navi mercantili di oltre 100 tonnellate che attraversano ogni anno il Mediterraneo.

Regolamentazioni inefficaci
Secondo le stime del Wwf, l’inquinamento volontario causato dallo scarico di oli e residui di carburante rappresenta l’equivalente di un naufragio Erika (la petroliera noleggiata dalla società Total che ha fatto naufragio nel 1999 sulle coste atlantiche francesi) a settimana nel Mediterraneo. In teoria queste pratiche sono vietate, ma gli Stati faticano a far applicare la regolamentazione. Innanzitutto i Paesi mediterranei sono poco attrezzati in impianti di ricezione di queste acque di zavorra o di carburante. Poi, quando viene commessa un’infrazione, per far condannare i responsabili bisogna anche poterla provare.

Ritorno sulla costa algerina. Nella città di Annaba, verso la frontiera tunisina, alcune associazioni hanno immerso una scogliera artificiale nel corso dell’estate 2016. «Una delle conseguenze dell’inquinamento industriale è la distruzione della flora e della fauna sottomarine», spiega Emir Berkane, portavoce della rete Probiom, un gruppo di associazioni di protezione dell’ambiente che si sono riunite per avere maggiore impatto. Da quattro anni queste associazioni hanno cercato di sensibilizzare le autorità alla necessità di ricreare la biodiversità nei fondali marini. Una delle soluzioni è il posizionamento di scogliere artificiali, che permettono alla flora di ricostruirsi e quindi ai pesci di tornare. «C’era un vuoto normativo nella legislazione, abbiamo quindi lavorato per creare dei testi e ottenere l’autorizzazione d’immergere delle scogliere artificiali in cinque città costiere», spiega. Nonostante il sostegno del ministro della Pesca dell’epoca, nonostante i finanziamenti ottenuti dalle Nazioni Unite, l’autorizzazione ufficiale non arriva, e le associazioni minacciano allora di usare la “disobbedienza civile” e immergere le scogliere senza autorizzazione. «Abbiamo la prova scientifica che nel porto di Marsiglia, grazie alla scogliera artificiale del Prado, i pesci sono tornati. Ma le autorità algerine ritengono che sia irrealizzabile dal punto di vista logistico. Allora siamo bloccati», racconta lo scienziato a malincuore. Attualmente la rete Probiom ha realizzato un documentario pedagogico sulla scogliera di Annaba: «un lavoro professionale con camera sottomarina e drone, per mostrare all’opinione pubblica che funziona e che questo genere d’iniziativa dev’essere riprodotto» assicura Emir Berkane. Bisogna ormai passare per la base per spingere le autorità a prendere delle decisioni? «Il governo non va alla nostra stessa velocità ─ argomenta il portavoce di Probiom ─. Noi riusciamo a organizzare delle spedizioni scientifiche con referenze internazionali, raccogliamo fondi e organizziamo eventi. Ed è il quadro legislativo a bloccarci». Ma oggi il militante ha una nuova speranza, grazie alla nomina di Nicolas Hulot come ministro dell’Ambiente in Francia. «I nostri due Paesi collaborano molto, e Nicolas Hulot puó avere un’influenza molto positiva. Si sa che spesso è questione di persone», sorride Emir Berkane.